da un’intevento di Jairo Guzmàn a Medellìn, durante il Festival Internacional de Poesìa
Alcuni antropologi sostengono che sono state le armi a renderci pienamente umani. Nel prendere in mano i primi rudimentali attrezzi di pietra ci siamo staccati dall’innocenza animale e abbiamo iniziato a rapportarci alla natura armati e con l’ausilio della prima tecnologia. Siamo passati di colpo a un livello tecnologico più elevato e tutto quello che ci lasciavamo alle spalle diventava immediatamente primitivo. In questo modo la tecnologia ha creato e determinato la cultura umana, e la tecnologia più elementare di tutte è quella delle armi. È un’idea piuttosto audace perché ci dice che la guerra è parte della nostra essenza fin dalla preistoria, è parte costitutiva della nostra essenza umana. Questo non depone a favore di una specie che sostiene di essere altamente civilizzata, creatrice di cultura e costruttrice di mondi.
Sappiamo che una poesia non potrà fermare i massacri di massa nelle guerre del XXI secolo. Ma sappiamo anche che per fermare la corsa agli armamenti si possono definire in maniera chiara ed efficace una serie di azioni poetiche da mettere in pratica utilizzando tutte le risorse della comunicazione e approfittando di tutte le tribune disponibili per far ascoltare la voce dei poeti in quanto patrimonio spirituale collettivo che si vuole preservare e lotta per preservare la specie umana con azioni incisive e costruttive… (continua a leggere su “Alfabeta2“)
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