Si gratta la testa, lo fa sempre quando l’imbarazzo sale e lui è lì, sul palco, a prendersi la sua standing ovation. Non ha ancora aperto bocca, ma la fama lo precede, scattano i flash e quell’aria da ragazzo ombroso per un attimo si illumina.
Una signora sui cinquanta, di fianco a me, è quasi emozionata nel vederlo, a pochi passi di distanza.
Mi confida che viene da Vicenza e che lo segue ovunque.
L’adrenalina non si controlla, penso, nemmeno con la forza dell’abitudine.
E di adrenalina è fatto anche il discorso di Roberto.
Tutto.
Dal primo all’ultimo minuto.
È tornato per la terza volta nella Mantova che l’ha proclamato cittadino onorario nel 2008 non per far pubblicità al suo ultimo libro (“Zero zero zero”, Ed. Feltrinelli 2013), ma per parlare di quello che rende libero ogni uomo: la parola e la sua potenza.
Nel mirino di Saviano c’è la ferocia e l’intransigenza dei poteri, quelli che tendono a soffocare l’informazione per un proprio tornaconto, quelli che sono spaventati dalla rete, dalla possibilità che la condivisione di idee e di principi possano svegliare le coscienze, smuovere l’immobilismo in cui viviamo.
Ammonisce il governo “delle attese e dei rinvii”, chiede a Grillo e Renzi di tornare a parlare di mafia e di economia criminale, perché troppe sono le distrazioni con cui viene allontanata l’opinione pubblica dai veri problemi del Paese.
Cita Christian Poveda, autore del documentario “La vida loca” sulle gang di San Salvador, ucciso mentre svolgeva il proprio lavoro sul campo; ricorda Anna Politkovskaja e gli orrori di una Russia tanto spietata, quanto silenziosa e camaleontica; racconta particolari e retroscena sulla strage di Beslan.
Ogni riferimento finisce per incastrarsi perfettamente nel medesimo comun denominatore: l’instancabile sete di verità che mai ci deve abbandonare. Perché è proprio di essa che l’uomo si deve nutrire per essere veramente se stesso. Sempre.
Dopo un’ora di appassionato monologo, Saviano sceglie Blaga Dimitrova e un suo pensiero, tanto lucido quanto incisivo, per congedarsi da noi: “Nessuna paura che mi calpestino. Calpestata, l’erba diventa un sentiero”, recita l’autore, leggendo l’esergo che ha scelto per il suo libro.
Il messaggio di resistenza ad oltranza è quindi chiaro, chiarissimo.
I regimi, di qualunque natura essi siano, sono avvertiti.
La parola non inciampa, la parola non si ferma.
Mai.

(Luca Artioli, Mantova 04/09/2013)